Dignità di vivere, dignità di morire, la mia riflessione sul Coronavirus
Ci troviamo nel pieno della crisi che il COVID-19 ha creato, abbiamo medici, infermieri, OSS, addetti alle pulizie, addetti alle camere mortuarie, e sanitari in genere, stremati dagli incessanti turni svolti nei reparti, eppure sembra che le ripercussioni psicologiche che il Coronavirus causa attualmente, e che causerà in seguito, vengano sottovalutate.
Il rischio è quello di trovarsi davanti a familiari dei pazienti affetti da COVID-19 con danno da PTSD, ovvero disturbo post-traumatico da stress. È esattamente ciò che percepisco attraverso l’incessante lavoro che in questo momento mi trovo ad affrontare all’interno dell’Ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato (città già nota per la grande battaglia che ha visto in prima linea la dott.ssa Daniela Degiovanni contro l’amianto e la fabbrica ETERNIT che lo produceva) per conto dell’Associazione Vitas che da anni si occupa delle realtà più fragili legate al fine vita, sia in ospedale che a domicilio.
Attualmente la procedura che si attua nei pazienti che risultano positivi al Coronavirus prevede che vengano portati in ospedale senza lasciare il tempo e lo spazio sia ai familiari presenti nella stessa abitazione, che a quelli che dimorano in altre case, di salutare il loro papà, mamma, fratello, sorella o figlio.
I reparti degli Ospedali
All’interno dei reparti adibiti per l’emergenza attuale, i pazienti non possono più vedere ne sentire i loro familiari: in pochissime circostanze provengono delle informazioni dal personale sanitario che mette addirittura a disposizione i propri telefoni per mandare notizie alla famiglia, in alcuni casi attraverso videochiamate. Intere famiglie attendono per ore che si trasformano in giorni, soprattutto nelle situazioni in cui viene comunicato che il congiunto sta molto male; le famiglie attendono la notizia con una tale ansia, frustrazione e terrore che difficilmente riescono a gestire: ecco perchè interveniamo noi Psicologi, con l’adeguato e necessario supporto, attraverso mezzi di comunicazione come Skype o videochiamate di WhatsApp.
Personalmente, come terapeuta, scelgo di effettuare, ove possibile, la videochiamata all’aperto esattamente nel mio giardino, per cercare di restituire serenità e normalità alle persone con cui sto dialogando al telefono. In questo momento di emergenza fornisco anche reperibilità il sabato e la domenica proprio per quei pazienti internati nei reparti, ai familiari, nonché al personale sanitario che mai come ora sta affrontando un’enorme sacrificio. A ciò si aggiunge il grande limite della presenza di pochi presidi DPI, in particolare per quanto riguarda le mascherine FPP2 e FPP3. L’utilizzo di questi presidi ci tutela non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico in quanto al solo pensiero di visitare un qualunque paziente che, ad oggi, potrebbe essere un potenziale Covid-19, ci mette in allarme.
La ricaduta Sociale del Coronavirus
Purtroppo a breve la ricaduta sociale di tutto ciò sarà inevitabile e di elevata importanza: di ciò lo Stato si è reso conto in quanto tra le rapide assunzioni che si stanno svolgendo, oltre a Medici e Infermieri, troviamo anche Psicologi. L’intera popolazione è duramente colpita, la reclusione in casa ha delle ripercussioni importanti, soprattutto nei familiari che perdono il congiunto e non hanno la possibilità nè di vederlo ne di salutarlo nella camera mortuaria.
Ad oggi la salma viene inserita nel feretro e immediatamente chiusa: in realtà, peró, negli articoli 10 e 18 del DPR 285/90, norme in materia di Polizia Mortuaria, non vige il divieto di far vedere la salma ai familiari, seppur con con adeguati DPI, come del resto vi accade per il personale sanitario: “Presso le camere ardenti ospedaliere e private, le estreme onoranze al defunto potranno avvenire con la presenza nel locale di non più di 2 persone ponendo cura a che nella sala d’attesa vi sia spazio sufficiente per garantire una idonea distanza tra le persone in attesa”.
Nonostante iò, quanto da me sollevato non accade.
Le persone che abbiamo perso
L’ultimo saluto al proprio congiunto è importante, altrimenti si avrà una popolazione che mancherà di una componente fondamentale nel processo del lutto: il rito funebre, con la sua fondamentale valenza psicologica.
Salutare un congiunto al domicilio e non rivederlo più, ritrovandosi poi a salutare una bara chiusa è di difficile accettazione anche per i più ermetici e la conseguenza sarà un PTSD da lutto correlato, di massa.
Un importante appello indirizzato alle istituzioni che firmano i decreti è quello di provare a mettersi nei panni dei familiari, per comprendere questo aspetto e mettere in condizione i familiari delle vittime del COVID-19 di poter dare loro l’ultimo saluto.
Un ultima riflessione ma non meno importante vuole essere in misura di utlità professionale.
In questo momento i professionisti della salute mentale dovrebbero essere impiegati:
• per supportare le equipe di sanitari impegnate in questo momento con particolare attenzione sia a quelli in prima linea sia a tutti quei sanitari di ordine e grado che attraverso una linea telefonica si preoccupano di chiamare in modo quotidiano tutti i sanitari in quarantena, facendosi carico, pur non avendone gli strumenti professionali dell’angoscia di morte che ogni professionista seppur indirettamente trasmette in questo momento di grande difficoltà;
• alla cittadinanza che in solitudine sta attraversando un momento del tutto inaccettabile per l’essere umano;
• a tutti quei pazienti ricoverati e alle loro famiglie con cui non riescono ad avere più contatti. E scientificamente provato che la vicinanza di un congiunto desiderato possa elevare i benefici di guarigione e gli effetti farmacologici di cui ogni paziente ricoverato sta beneficiando.
La forza della Comunicazione
Ad oggi posso rilevare che il grande bisogno possa realmente essere quello di avvalersi degli specialisti della comunicazione per evitare di generare continuo panico di massa pur premettendo che non c’è motivo di andare in panico. Un ultimo e banale episodio è quello accaduto ieri sera alle 22.45 con la diretta del Presidente Conte.
Ancora prima di ascoltare le sue parole l’Italia intera era in preda al panico ed alla collera in quanto se vengono interrotte tutte le trasmissioni televisive, anche le più frivole, che in questo momento restituiscono necessaria leggerezza è per un motivo molto serio. A seguito delle sue parole come sarà andata aletto l’Italia intera? Bene, detto ciò, ripensando ai contenuti della dichiarazione, se gli stessi fossero stati comunicati nella mattinata odierna, avrebbero fatto quanto necessario ma non avrebbero spaventato tutti gli italiani.
Il mio pensiero da Psicoterapeuta
Da Psicoterapeuta comunico un altro aspetto fin ora non preso in considerazione. Tra i milioni di italiani ve ne sono molti affetti da patologie psichiatriche più o meno gravi che pertanto a seguito di queste errate comunicazioni entrano in panico e difficilmente la comunità di terapeuti riesce a gestirli a distanza in questo momento così delicato.
Purtroppo abbiamo pochi Medici, Psicologi e Infermieri. Stimo pagando lo scotto di una sempre più stringente politica di “elite” verso le classi mediche che non hanno mai permesso di rendere pubblico l’accesso alle facoltà sanitarie per quanto riguarda Medici, Psicologi ed Infermieri, mentre per gli Psicologi, ancora oggi non sono sufficientemente integrati nel sistema Sanitario Nazionale come le altre professioni, ritenendoli, erroneamente, superflui. I cittadini che decidono di avvalersi di un professionista della salute mentale, affrontano un percorso privato per potersi far supportare da questo mondo professionale con carichi economici individuali. Lo Psicologo è uno di quei mestieri che fa vedere i risultati nel lungo periodo ma seppur tale di grande importanza scientifica. E’ ora di allontanarci da quel retaggio culturale che etichetta matto chi va dallo Psicologo.
Siamo nell’epoca in cui non ci riconosciamo, del resto non lo fa neppure il nostro Iphone in quanto non è progettato per un riconoscimento facciale con indosso una mascherina ma dobbiamo trovare la forza di aggrapparci a ciò che indipendentemente dal virus, in questo Qui ed Ora ci può rendere felici.
Perché non bisogna avere paura?
Perchè la paura mette in difesa il sistema neurovegetativo autonomo e pertanto si attivano i meccanismi di difesa, attacco e fuga che si mettono in atto per difenderci. Già ma da cosa? Non di certo possiamo attraverso questi meccanismi combattere un nemico invisibile. In questo modo produciamo pertanto sostanze come il cortisolo, l’adrenalina e noradrenalina, sostanze che portano in grande stress il sistema immunitario.
Dobbiamo cercare, per quanto possibile di recuperare serenità e tranquillità di cui il nostro organismo necessita, “normalizzando” quanto più possibile questa, a dir poco surreale, situazione.
Musica, tecniche di rilassamento, riscoprire un vecchio libro che ci ha restituito momenti di benessere, occuparci di tutte quelle cose che non ci siamo mai dati il giusto tempo di affrontare, sono strumenti atti ad andare nella giusta direzione.
Cerchiamo di ritrovare il nostro fulcro attraverso il sistema cerebrale detto Parasimpatico perché producendo neurotrasmettitori come la serotonina, le endorfine, la cedilcolina ci trasmettono benessere in quanto sono quelle sostanze che fanno vedere il bicchiere mezzo pieno in questo momento in cui ne abbiamo molto bisogno.
Più siamo tesi, più ci facciamo travolgere da informazioni di ogni genere e tipo, spesso da canali non ufficiali e più il livello di queste sostanze ci porta a vedere il bicchiere mezzo vuoto con tutte le conseguenze del caso sul nostro sistema immunitario. Decidiamo noi, due soli momenti della giornata, in cui recepire le informazioni sul COVID-19 e facciamolo solo attraverso canali e fonti ufficiali nonché autorevoli. Più ci allarmiamo e più la così detta ansia anticipatoria comincerà ad avere il sopravvento su di noi.
Ce la faremo, andrà tutto bene, abbiamo ancora molte armi da mettere in campo per far fronte alla sofferenza, a gran voce chiedo che ce ne diano la possibilità di metterle in atto.